LA RINASCITA DELLA FISARMONICA

(Eugenia Marini - Rassegna Musicale Curci, gennaio 1993)
Fisarmonica, strumento giovane, affascinante, moderno; attributi questi che contrastano con l'immagine stereotipata che si ha dello strumento. Utilizzata efficacemente nella musica leggera, nel folk, nel jazz e recentemente anche nel rock, offre ora le sue ance ed il suo mantice, la sua voce e il suo respiro, alla musica del nostro tempo. Dopo che ormai si è scoperto tutto sugli strumenti più celebrati, fin quasi a smontarli per trarre da essi l'effetto novità, la fisarmonica si offre alla fantasia degli autori contemporanei, pronta a farsi sollevare quel velo di incomprensione nel quale è stata troppo a lungo avviluppata ed a mettere a disposizione tutto il suo ventaglio di colori e di suoni, oltre alla sua grande versatilità.
Chi ascolta la fisarmonica, se ben suonata, musicista o profano che sia, è difficile che non rimanga affascinato e che non rimetta in discussione pregiudizi stratificati. Il grande divario tra l'immagine dimessa di questo strumento e le sue reali capacità musicali ci stimola a curiosare nel suo passato.

La fisarmonica, diversamente da quanto si crede, ha avuto i suoi albori in ambienti aristocratici, ambienti che non volevano lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione di essere padrini di uno strumento dall'avvenire prevedibilmente brillante. Chi avrebbe detto che tutti gli studi effettuati a partire dal '400 sull'utilizzo dell'ancia metallica per conferire una voce espressiva, una "vox-umana" all'organo, avrebbero portato nel primo '800 all'ideazione di uno strumento nuovo, la fisarmonica, e alla reinvenzione dell'utilizzo di un principio sonoro antichissimo, quello dell'ancia libera, conosciuto da millenni in Oriente, ma praticamente ignorato in Occidente?

Creatura sonora annunciata quindi, ma anche frutto di una certa casualità, se pensiamo all'apporto forse decisivo arrecato da quel bizzarro J.G. Kratzenstein, eminente fisico e matematico tedesco che un po' per soldi, un po' per bisogno di fama, decise di partecipare a un curioso concorso indetto nel 1779 dall'Accademia delle Scienze di S. Pietroburgo. Si trattava di costruire una macchina parlante in grado di imitare con i suoni le 5 vocali dell'alfabeto. Kratzenstein raccolse tutte le sue cognizioni sul funzionamento dell'apparato vocale umano e probabilmente si ricordò di un'esperienza musicale risalente a qualche anno prima: l'ascolto di un Tcheng, antichissimo aerofono cinese ad ancia libera, suonato da un padre gesuita di ritorno dalla Cina, strumento sul quale, si può presumere abbia fatto un'ispezione, dati i suoi interessi in campo acustico. Il risultato fu una curiosa "talking-machine" ad ancia in grado di vocalizzare, un marchingegno che diventò, involontariamente, il punto di riferimento di ricerche successive, più musicali e meno onomatopeiche, sull'utilizzo dell'ancia libera. Molte botteghe artigiane in tutta Europa, Italia compresa, furono pervase da un grande fervore nel tentativo di dare una veste ed una voce occidentale al fascino esotico del Tcheng; sembra che non sia risultato estraneo il consiglio di un attento maestro orologiaio che aveva notato che un antico orologio ad ancia metallica posto su una torre di S. Pietroburgo era in grado di emettere piacevolissimi rintocchi flautati.

La fisarmonica era ben lungi dall'essere strumento demodé ai primi dell' '800. Non si sentiva demodée M.lle Reisner quando si esibiva con il suo primitivo accordéon nei saloni parigini del Conservatorio o dell'Hotel de la Ville riscuotendo entusiastici pareri della critica e del pubblico, né si sentiva demodée una certa contessa Svetchina nell'esibirsi nei più ambiti e contesi salotti letterari pietroburghesi; tanto meno si sentiva demodé quell'abate Vogler che, bazzicando i teatri pietroburghesi quale organista di grido, affascinato dalla nuova creazione degli artigiani Kirschnik e Rackwitz, decise di botto di abbandonare il suo solenne ed austero organo per il più agile e sensuale "orchestrion" (uno dei progenitori della fisarmonica), calcando con questo i teatri più importanti di mezza Europa. "Il vit!" pare abbia esclamato con estatico stupore. Certo il repertorio era quello che era, anche se le recensioni dell'epoca ci descrivono il brano eseguito dalla Reisner "assez compliqué", una sorta di " tema e variazioni" da lei stessa scritto, forma compositiva non certo originale in quel tempo. E chi altri, se non lo stesso esecutore, poteva scrivere per uno strumento che cambiava estensione, tastiera, scala, dimensioni e nome nel passaggio da una bottega artigiana all'altra? E chi poteva capire, se non l'esecutore, quella strana alchimia di cifre nella notazione degli accordi che trasformava la parte in una intavolatura per iniziati? Le prime raccolte di brani consistevano in arie popolari, in melodie tratte da semplificazioni di arie celebri e dal vaudeville, valzer, galops, polkas, parisiennes, can can, ecc:

I primi strumenti, quelli che dovevano diventare di uso popolare, alcuni dei quali volgarmente chiamati "orgues à cent francs", potevano disporre di un' unica tastiera con 8 tasti con i quali si potevano realizzare 16 suoni (sistema bisonoro). L'esecutore stesso doveva interrompere la melodia per ottenere un minimo di accompagnamento armonico e la scala ottenibile, definita "barbara" da Berlioz, era una specie di scala diatonica incompleta. L'esecuzione in una sola tonalità perdurò anche quando si cominciò a suonare con la mano sinistra su una tastiera di soli due tasti, uno per l'accordo di dominante ed uno per quello di tonica. "Una dama scozzese si mise a suonare con una concertina delle arie orripilanti. Dio ce ne liberi!" esclamò Chopin in un salotto, inorridito per l'asfissiante mono-tonalità.
Non ci fu salotto in cui non si esibisse un accordéon e, dato che le mode trasmigrano facilmente da un ceto sociale all'altro, ben presto lo strumento divenne tanto popolare che quasi ogni famiglia ne possedeva uno. Un annuncio apparso sull ' "Aftenbladet" di Oslo nel 1860 propagandava l'accordéon tra le merci di cui un agricoltore può avere bisogno e che può reperire allo spaccio del villaggio : "cavalli, spole, fisarmoniche, pettini e alluminio in vendita".

Strano a dirsi le critiche più feroci la fisarmonica se le prese in quelle zone dove più penetrante era diventata la sua presenza nella musica folkloristica, allorquando invase il repertorio tradizionalmente eseguito con il violino. Gli adattamenti di pezzi tradizionali del repertorio folkloristico nordico vennero ritagliati su misura per le esigue capacità dello strumento: eliminate le tonalità minori ineseguibili, spazzati via gli ornamenti, i ritmi e le modulazioni, questi pezzi divennero irriconoscibili e disgustosi. Per fortuna venne in aiuto dello strumento un curioso fatto storico: gli adepti di un fanatico movimento religioso in Scandinavia istigarono a mettere al bando tutti quegli strumenti che potevano costituire una fonte di peccato, a causa del divertimento indotto nel popolo; per liberarsi dalle tentazioni del demonio si bruciarono sui roghi i violini, ma furono risparmiate le fisarmoniche, troppo giovani per poter essere responsabili della conduzione del popolo nelle braccia di Satana.

La fisarmonica, pur zoppicante e spesso bastonata, riesce a sopravvivere ai rivolgimenti artistici e sociali, grazie a quel legame ormai non più recidibile instaurato con l'anima della gente comune; lontana e ormai estromessa dai salotti, rimane portavoce delle vocazioni musicali più autentiche del popolo, capace più di rinsaldare un contatto umano che di esercitare un'influenza artistica.
La vediamo nei primi decenni di questo secolo, sempre in tutta umiltà, agli angoli dei boulevards parigini; la vediamo sulle banchine dei porti esprimere tutta la struggente nostalgia dell'emigrante, con un suono dal timbro a volte stridulo per quel suo eccesso di armonici su alcuni fondamentali; la vediamo, effimera star, esibirsi sui palcoscenici americani nel tentativo di rimuovere il proprio complesso di inferiorità attraverso un repertorio ridondante, a volte carico di kitch, impregnato di velleità sinfoniche e di virtuosismi accattivanti, patetico nei suoi titoli; la vediamo commentatrice efficace di films muti nei cinema di mezza Europa e potente evocatrice dei bisogni degli umili e dei diseredati nelle partiture di Kurt Weill, strumento non eroico, ma nel quale la guerra trova le sue lacrime. In Italia è strumento dell'aia e dell'osteria, luogo quest'ultimo di estrema difesa dei valori più profondi dei fatti comunicativi. La osserviamo nell'arco di circa un secolo nella sua veste sempre un po' dimessa, mai in prima linea, mai all'avanguardia o al passo con l'arte del comporre del proprio tempo, quasi avesse la volontà deliberata di non voler recidere quel cordone ombelicale che la legava alla tradizione, al proprio passato, con quell'abbraccio stretto e simbolico tra esecutore e strumento, che rende quest'ultimo propaggine immediata del cuore e del respiro umano. Qualche "grande" la degna di un' occhiata: Ciaikowski, Berg, Hindemith, Giordano, Respighi, Shostakowitch, Prokofiev la utilizzano in alcune loro pagine, ma si tratta di un uso aneddotico che non la emancipa. Anche se in ritardo, la fisarmonica arriva agli anni '30/40 ormai evoluta nella sua tecnica costruttiva, dotata ormai di due tastiere estese e liberata da quegli accordi fissi che non avrebbero potuto farla sopravvivere al tramonto del sistema tonale.

E fu proprio l'evoluzione nell'estensione della tastiera sinistra che determinò il "Rinascimento" della fisarmonica e che le permise, a poco più di 100 anni dalla sua nascita, di entrare nella musica del suo tempo, non più in veste di comparsa dal volto patetico, ma da comprimaria. La grande possibilità effettistica del mantice, le nuove capacità timbriche e gli inusitati impasti di voci rappresentano un terreno fertile che può stimolare il compositore contemporaneo; nel frattempo il fisarmonicista da "suonatore" è diventato maturo musicista e ben si destreggia con un uso del mantice regolato da precisi intendimenti sintattici e formali, con una poliritmia così distante dal consueto un-pa-pa tramandato da generazioni, con l'attento dosaggio degli equilibri, proiettato in una nuova sintesi di linguaggio contrappuntistico e armonico. Lo strumento non è più da tempo "un Jouet de bazar"; i produttori attuali, tra i quali spiccano per maestria quelli di Castelfidardo, scelgono accuratamente tra i tipi di legno e di acciai più pregiati, curano la stagionatura, badando che ognuno dei ca. 9000 pezzi di cui è composto lo strumento, abbia una sua funzione nell'espressione musicale. Molti nomi di spicco della musica contemporanea sono rimasti affascinati dalle gamme espressive dello strumento e dalla sua fantastica capacità di respirare. Nelle "Sette parole", brano scritto da S. Gubaidulina per fisarmonica, violoncello ed archi, lo strumento assurge a simbolo del Dio- Padre, senza sembrare irriverente

Nella gestualità della musica di Kagel o di Murray Schafer lo strumento si fa corpo unico con l'attore esecutore e con lui si identifica nella rappresentazione.
Acquisito un posto di rispetto nella musica contemporanea, in attesa che nuovi compositori si accorgano della sua presenza e infoltiscano il suo repertorio ancora poco provvisto di grandi firme, perché non permetterle di andare a frugare anche tra le creazioni dei "grandi"?
Bach, secondo A. Schweitzer, scriveva per uno strumento ideale la cui voce potesse avere la maestosità dell'organo e la flessibilità del suono del violino; che non sia questo strumento la fisarmonica?

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