Dal clavicembalo alla fisarmonica,
problemi di trascrizione

(Eugenia Marini - Fisarmoniae, Novembre 2000)
 
L' esecuzione di brani scritti per clavicembalo, richiesta tra l'altro per superare i nostri esami di conservatorio, comporta la soluzione di problemi non indifferenti.
Se accettiamo la tesi che una trascrizione è giustificata e lecita solo quando il risultato ottenuto non debba far rimpiangere l'esecuzione su strumento originale, va detto che eseguire questi brani senza potersi avvalere di una certa libertà di introspezione interpretativa che ci consenta di andare al di là di una lettura fedele di quanto è esattamente scritto - cosa quest'ultima che normalmente ci viene richiesta da un esame di conservatorio - porta a stravolgere letteralmente l'idea originale, facendo rimpiangere l'ascolto sullo strumento per il quale è stato scritto il brano.
Molto spesso mi è capitato che alcuni allievi, specie nei corsi di perfezionamento, mi chiedano il parere sull'esecuzione di alcuni brani bachiani, in particolare di preludi e sarabande. La loro esecuzione risulta perfetta perché è esattamente fedele a quanto richiesto dalla scrittura, riferendomi in particolare alla durata esatta dei valori musicali. Ed è proprio quando in questi brani ci si attiene fedelmente alla scrittura che, in mia opinione, si commettono gli errori interpretativi più grossolani; spesso il mio commento all'allievo è il seguente: questo brano, così come lo suoni , non rispecchia assolutamente le intenzioni dell'autore, intenzioni trasmesseci attraverso la simbologia musicale; è meglio non suonarlo del tutto. La reazione dell'allievo è evidentemente di grande sconcerto.
E in più aggiungo: se questo brano lo devi portare ad un esame di conservatorio, io non ci metto mano perché io te lo farei suonare come andrebbe suonato in un concerto o in un disco, con sostanziali modifiche dei parametri di durata; questo potrebbe scandalizzare una commissione d'esame che ti accuserebbe di non suonare il testo fedelmente, con negativi risvolti per il tuo punteggio, anche se il brano che tu esegui risulterebbe più bachiano.
E poi ovviamente entro nel merito di queste mie considerazioni un po' trasgressive. Mi aiuterò con alcuni esempi.
Nei brani clavicembalistici di movimento lento, uno dei più grossi problemi interpretativi è rappresentato dal valore delle note lunghe: si sa che nello strumento d'origine (ma anche nello strumento che poi si è appropriato di questa letteratura, il pianoforte), dopo l'impulso iniziale dato alle vibrazioni dal pizzico della corda (o dal martelletto nel pianoforte), il suono va sempre più attenuandosi fino a scomparire del tutto nell'arco di 2/4 scarsi, e anche meno se il brano è molto lento. Nella fisarmonica, come ben si sa, non vi è la possibilità di attenuare un suono contemporaneamente alla messa in evidenza di un altro suono; al contrario il suono, finché il tasto è schiacciato, insiste su tutto quanto avviene intorno a lui. Sul clavicembalo avviene invece che, nella sovrapposizione polifonica, una linea melodica rimanga a suonare in completa evidenza e indisturbata anche quando sopra o sotto di essa vi siano altre linee melodiche espresse con note lunghe, perchè la vibrazione di queste ultime va scomparendo liberando così l'emergere di altri incisi. Prendiamo ad esempio la battuta 10 dell' Aria dalle Variazioni Goldberg di Bach:
Scrittura originale:
Nell'esecuzione fisarmonicistica le tre ultime note verrebbero in gran parte coperte dal bicordo la-re; se rispettiamo fedelmente la scrittura, il risultato
l'intenzione originaria verrebbe stravolta; una soluzione più corretta sarebbe invece la seguente:
  di una esecuzione alla lettera del testo sarebbe ben lontano dal far risaltare i livelli effettivi sui quali si sgrana l'inizio dell'inciso si-do, il quale verrebbe coperto
dalla massa risultante dalla tenuta del do, mi e del la alla sinistra. Nell'esecuzione clavicembalista le due semicrome scaturiscono invece leggére e indisturbate in un momento in cui il tema sembra ripiegare su se stesso e nella sua chiarezza deve risultare sommesso. Molto più efficace risulterebbe la seguente soluzione - stesso dicasi per l'ultima battuta dell'Aria:
Lo stesso dicasi per l'ultima battuta dell'Aria:
Il mantenimento fisarmonicistico del si fino alla fine impedisce alla conclusione fa-fa-sol di chiudere il brano in modo etereo. Molto meglio concludere così:

Il suono della fisarmonica è fisso e non può indietreggiare quando dovrebbe porgere solo il suo eco e la sua vibrazione agli incisi emergenti; il problema si fa ancora più drammatico in alcune sarabande (e/o preludi) in cui vi sono note tenute di 4/4 o anche più lunghe. Teniamo presente che al secondo quarto queste note dovrebbero già essere in secondo piano, al 3° quarto sono solo tenui vibrazioni e poi altro non sono che un lontano ricordo.
Qualcuno potrebbe azzardare una riflessione: allora perché Bach le ha fatte durare così a lungo se poi in effetti non si sentono? Forse lo strumento per il quale le ha scritte era inadeguato a esprimere le sue reali intenzioni?
Io credo che una vibrazione esprima il suo significato anche nel suo esaurirsi e nel lasciare anche solo un lontano ricordo di sé prolungandosi, solo con l'intenzione, nel silenzio o nella sua ombra. Non per questo perde il suo significato ma, al contrario, continua ad esprimerlo in modo interiore.

Si tratta comunque di problemi interpretativi notevoli.
Aver imposto questo genere di letteratura in un esame di conservatorio, pone l'allievo di fronte al grave dilemma: suonarlo come è scritto (e allora non è più Bach), oppure intraprendere una difficile e contestabilissima rilettura fisarmonicistica. Un allievo di Conservatorio non ha la libertà di operare questa scelta di introspezione interpretativa, scelta che potrebbe rivelarsi estremamente rischiosa per l'esito dei suoi esami.

Ancora una volta il nostro fisarmonicista studente deve fronteggiare un problema in più rispetto agli altri strumentisti.
Ancora una volta va detto che questo programma è dissennato.
 

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